In un articolo pubblicato sulle pagine de L’Economist e rilanciato dai maggiori quotidiani italiani, Mario Draghi torna a parlare di Europa. Senza arrivare ad un nuovo “whatever it takes”, esprime comunque le proprie preoccupazioni su un’Unione che, a suo parere, se vuole “primus vivere”, prima ancora di avere “voce in capitolo” a livello globale, deve darsi “nuove regole e più sovranità condivisa”. Sempre secondo “superMario”, tornare alle vecchie regole pre-pandemia, come, per esempio, il patto di stabilità così com’era stato congegnato sarebbe “il peggior risultato possibile”. Ci ricorda, l’ex Presidente della BCE (ed “ex” tante altre cose, un “unicum” per il nostro Paese) che se l’Europa non arriva, in tempi brevi, ad un budget unico e condiviso per la difesa, il clima e la digitalizzazione sarà il concetto stesso di Europa ad essere messo in discussione. In altre parole, l’Unione non può continuare a ritenersi tale per l’esistenza di un’identità che è solo monetaria.
Il “Draghi pensiero” arriva, probabilmente non causalmente, vista la sua perdurante credibilità, in un momento in cui è aperta, tra gli Stati membri, la discussione sul ripristino del patto di stabilità, sospeso, come noto, per il Covid e in via di ripristino a partire dal 1 gennaio 2024. Una regola fortemente contestata da alcuni Governi (il nostro, già alle prese con il “nodo” PNRR, in testa), che vorrebbero un ulteriore rimando o, per lo meno, una applicazione più elastica, tale da non obbligarli a vincoli stringenti sulle regole di bilancio. A rendere la polemica ancora più accesa è indubbiamente la particolare “stagionalità”: infatti, in queste settimane vanno definite, a livello europeo, per i singoli Paesi, le relative Leggi di Bilancio 2024, le linee guida a cui dovranno attenersi in termini di politica economica. Già stanno emergendo, per quanto ci riguarda, difficoltà piuttosto evidenti, con coperture finanziarie non semplici da individuare, senza le quali molti provvedimenti in corso di attuazione (vedi taglio del cuneo fiscale, per citare uno dei più importanti) potrebbero scomparire, con il rischio di tensioni sociali (senza contare la preoccupazione, per i partiti della maggioranza, di perdita di consensi che, in vista delle elezioni europee del prossimo anno, potrebbero avere conseguenze non indifferenti sulla stabilità politica, se non addirittura sulla stessa stabilità dell’esecutivo) in un contesto economico internazionale che qualche segnale di debolezza lo sta dando.
Per quanto la UE inviti, in merito ai numeri, ad una certa cautela (vedi la revisione al ribasso della crescita 2024, “limata” dall’1% allo 0,8%), il nostro Governo sembra voler confermare, per il 2024, un aumento, in termini di PIL, dell’1%, che diventa addirittura l’1,5% per il 2025 (e questa sembra una vera e propria “scommessa”). Vero che l’OCSE, contraddicendo la Commissione Europea, prevede per l’anno prossimo un rimbalzo, spingendosi sino all’1,5% di crescita, ma si sta parlando di previsioni che, perché si possano verificare, richiedono ulteriori sacrifici. Uno, per esempio, è, secondo l’Organizzazione internazionale, che la BCE la settimana prossima confermi il nuovo rialzo dei tassi di almeno 0,25%. Un altro, la stesura, da parte dei vari Governi, di Leggi di Bilancio che facciano propria una buona dose di prudenza, evitando eccessi di spesa, soprattutto in presenza di un’inflazione ancora sostenuta (che dovrebbe rimanere sopra il 3%), che toglierebbero “benzina” alla crescita. Ulteriore attenzione dovrà essere riposta nel PNRR, i cui effetti positivi potrebbero essere resi vani dalle ripercussioni sui prezzi, derivante dall’eventuale forte stimolo che le varie economie potrebbero trarre dagli ingenti investimenti (laddove i Governi siano in grado di “metterli a terra”, cosa non così scontata, come possiamo ben testimoniare visto quanto sta succedendo nel nostro Paese). Per non parlare, poi, della transizione energetica, un ambito che la guerra in atto sta mettendo fortemente in discussione, visto il ritorno alle fonti energetiche fossili, in precedenza sostanzialmente messe al “bando”.
Ieri gli indici sono stati negativamente influenzati dai dati tedeschi, che hanno confermato una situazione economica non buona. Wall Street ha chiuso con cali tra lo 0,57% (Dow Jones) e lo 0,88% (Nasdaq).
Questa notte anche la Cina ha comunicato dati macro poco brillanti (come peraltro previsto dagli analisti), con le esportazioni in calo dell’8,8%, mentre le importazioni sono scese del 7,8%.
Shanghai perde l’1,05%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng arretra dell’1,16%.
Un po’ meglio va a Tokyo, dove il Nikkei scivola dello 0,75%.
I futures indicano aperture deboli sia per le borse europee che per quella americana, con cali intorno allo 0,3/0,4%.
Dopo raffiche di rialzi, questa mattina il petrolio “lima” un po’ le quotazioni, con il WTI in calo dello 0,47%, a $ 87,22.
Gas naturale Usa a $ 2,505, – 0,36%.
Oro a $ 1.925.
Spread anche oggi oltre quota 170 (172,8), con il BTP che arriva a toccare il 4,39%.
In crescita anche il rendimento del bund tedesco, a 2,65%.
Treasury Usa 4,28%.
€/$ a 1,0721, con il biglietto verde che continua la sua progressione.
Bitcoin sempre in area $ 25.800 (25.757).
Grazie come sempre per l’attenzione.
Ps: la tutela del patrimonio storico-architettonico sta diventando sempre più di attualità, soprattutto per quei Paesi in cui è motivo di interesse culturale e per i quali costituisce una fonte di entrate fondamentali, grazie al turismo. Gli atti di vandalismo, peraltro, non succedono solo da noi. Quello che cambia, però, è il modo in cui vengono affrontati. In Cina, nei giorni scorsi, due operai hanno avuto la “brillante” idea di crearsi una scorciatoia scavando un vero e proprio tunnel nella Grande Muraglia, forse il monumento più rappresentativo del Paese. Ovviamente sono stati arrestati. “Ovviamente” per la Cina: da noi la cosa non sarebbe così ovvia, “ovviamente”.